24 maggio 2011

1. ACQUA BENE COMUNE



Ecco la prima delle tre puntate sul referendum del 12 e 13 giugno.

1. ACQUA PUBBLICA

”L’industria dell’acqua è il miglior settore dove investire” (rivista Fortune).
“Il prezzo dell’acqua corre più del greggio” (Blomberg News).

Questi sono solo due degli annunci apparsi ultimamente in merito al tema della privatizzazione dell’acqua.
Un business impressionante: più di 403 miliardi l’anno, pari al 40% del valore della capitalizzazione delle aziende petrolifere.
Si tratta di un investimento in un settore la cui domanda non è soggetta all’inflazione nè alla recessione nè, tantomeno, ai cambiamenti del gusto. Un’oasi felice insomma.
Passiamo ai quesiti referendari: sono due e riguardano il tema della privatizzazione, o meglio del “processo di privatizzazione” della gestione dell’acqua.

PRIMO QUESITO: fermare la privatizzazione dell’acqua
Esso propone l’abrogazione di un articolo del c.d. decreto Ronchi. L’articolo in questione stabilisce che la gestione del servizio idrico non può più essere affidata a società interamente pubbliche. Con questa norma, si vogliono mettere definitivamente sul mercato le gestioni dei 64 ATO (Ambito Territoriale Ottimale) che, o non hanno ancora proceduto ad affidamento, o hanno affidato la gestione del servizio idrico a società a totale capitale pubblico. Queste ultime infatti cesseranno improrogabilmente entro il dicembre 2011, o potranno continuare alla sola condizione di trasformarsi in società miste, con capitale privato al 40%. La norma inoltre disciplina le società miste collocate in Borsa, le quali, per poter mantenere l’affidamento del servizio, dovranno diminuire la quota di capitale pubblico al 40% entro giugno 2013 e al 30% entro il dicembre 2015.
Dando una quota di sbarramento cosi alta (40%) praticamente si consegna nelle mani di società private tutta la gestione dei nostri impianti idrici. Di fatto, l’acqua non sarà più un bene erogato dal comune (che fa pagare una quota irrisoria a chi ne usufruisce) ma un bene commerciale, non diversamente dai servizi telefonici, o dalla corrente elettrica.

SECONDO QUESITO: fuori i profitti dall'acqua
Il secondo quesito riguarda proprio il possibile aumento delle tariffe. Esso propone l’abrogazione parziale di un articolo del Codice dell’Ambiente che elenca i criteri di determinazione delle tariffe. Il referendum propone di cancellare, fra questi, quello “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Tale criterio permetterebbe al gestore del servizio di includere nella bolletta un 7% che rappresenta un profitto aggiuntivo in virtù dell’investimento effettuato. Praticamente il gestore può permettersi di far pagare di più tutti solo per il suo guadagno, senza legami con il servizio erogato.

Sintetizzando, quello che i promotori del referendum vogliono scongiurare è il processo di privatizzazione del servizio idrico nazionale che si attua secondo due direttrici:
1. Gestione privata dei servizi idrici. Quota del 40%
2 Istituzionalizzazione del profitto (7%) sotto forma di remunerazione dell’investimento effettuato dalla società privata.

LE RAGIONI DEL SI (acqua pubblica)
Le norme in questione aprono le porte allo sfruttamento commerciale dell’acqua come prodotto, con ampi margini di lucro. La differenza principale tra gestione pubblica e privata è infatti negli scopi. L’obiettivo di un ente pubblico è garantire un servizio senza perdite economiche. Quello di un privato è massimizzare il profitto.
Con riguardo al secondo quesito, abrogando questa parte dell’articolo sulla norma tariffaria, si elimina il “cavallo di Troia” che ha aperto la strada ai privati nella gestione dei servizi idrici: si impedisce, sostanzialmente, di fare profitti sull'acqua.

LE RAGIONI DEL NO (nulla osta al processo di privatizzazione)
I sostenitori del no partono da una semplice premessa: nessuno vuole privatizzare l’acqua. Nelle intenzioni del legislatore, con il decreto Ronchi avviene esclusivamente la privatizzazione della gestione del servizio idrico. Ovverosia l’acqua rimane pubblica (e meno male), gli acquedotti sono e rimangono pubblici, le altre infrastrutture idem: solo che a lavorarci e portarci l’acqua a casa potranno esserci aziende private. Oggi, invece, quasi tutti i gestori sono soggetti pubblici ed è questa una delle cause per cui le nostre infrastrutture si ritrovano a perdere mediamente il 30% dell’acqua che portano.
Lo spiega Andrea Gilardoni, docente di Economia alla Bocconi: «Il settore idrico è oggetto di grande attenzione, ma richiede grossi investimenti, che la pubblica amministrazione non è più in grado di sostenere. Il fabbisogno è di gran lunga superiore alle risorse disponibili e non resta che il ricorso alla finanza privata per riparare le reti e garantire una gestione efficiente delle varie fasi».
Pare che per ammodernare la rete, occorrano 60 miliardi di euro. Gli enti pubblici, soprattutto in questo momento storico, non dispongono di tali risorse. Ed un aumento delle tariffe, per mano pubblica, non sembra proponibile: quale sindaco si prenderebbe l’onere di aumentare corposamente le tariffe per l’acqua a fronte di possibili, anzi quasi certe, ricadute elettorali??
Altro argomento portato avanti dai sostenitori del NO: le nostre tariffe sono tra le più basse d’Europa e ciò non fa altro che alimentare gli sprechi: chi si preoccupa di risparmiare acqua, se tanto costa poco ed incide relativamente sul budget familiare o aziendale?
Contro il presunto aumento vertiginoso delle tariffe dopo la privatizzazione, i fautori del no rispondono che, è vero che mediamente tutte le aree passate alla gestione privata hanno ottenuto un aumento sulla “bolletta”, tuttavia si tratterebbe di un aumento esiguo. Molti enti locali hanno mantenuto talmente basse, da non essere riusciti nemmeno ad azzerare i costi. Ancora oggi in molte realtà si fornisce l’acqua sotto-costo, lasciando sempre un debito arretrato che verrà pagato da Enti superiori o verrà fatto pagare in maniera indiretta ai cittadini.

LE MIE RAGIONI
Dopo aver illustrato le tesi dei fautori del referendum e la volontà del legislatore che ha decretato queste leggi, supportato dai fautori del NO, vorrei esporre la mia opinione personale.
L’idea che il privato riesca ad essere più efficiente di un Ente pubblico non è del tutto scontato. Piuttosto bisognerebbe intervenire affinché questi settori siano adeguatamente monitorati e sovvenzionati per continuare ad evere un servizio di qualità, senza sprechi ed accessibile a tutti. Tra l’altro la manutenzione della rete, pare che rimarrà a carico del settore pubblico. Si tratta di una situazione simile a quella della rete ferroviaria, in cui la gestione dell’infrastruttura è pubblica mentre l’erogazione del servizio di trasporto è affidata a società terze, anche private.
Pare, tra l’altro, che le banche stiano mettendo i propri artigli sulla gestione dell’acqua. Dopo aver acquisito piccole quote nelle principali società idriche del settore, ora si avvicina il momento di affondare il colpo.
Una rivoluzione per il settore, che riverserà in Borsa partecipazioni per oltre due miliardi di euro nei prossimi tre anni e mezzo, rimettendo in gioco gli attuali assetti proprietari. Le tariffe saranno il vero spartiacque di un ingresso in forze della finanza privata. Le Banche interverranno nel settore solo dopo aver verificato la possibilità di profitti adeguati. Con le nuove norme questi potranno esserci. Le banche difatti hanno fiutato rendimenti costanti e rischi contenuti. Di questi tempi, cosa desiderare di più?
Ecco, consegnare un settore così delicato a spregiudicati amanti del profitto , sarebbe un suicidio ed un colpo mortale ad uno dei diritti universali dell’uomo.
La mia idea è che, al di la della gestione pubblica o privata, bisogna far riaffermare il concetto dell’acqua come diritto, piuttosto che come bene mercificabile.
In alcuni stati dell’America Latina come Bolivia ed Ecuador l’acqua pubblica, come diritto umano non privatizzabile, è diventato, addirittura, un principio costituzionale. Altro che repubblica delle banane!
L’acqua è un bene comune inalienabile, fondamento della vita, la cui disponibilità deve essere garantita a tutti ed a tariffe basse, più per principio che per reale meccanismo di welfare.
Se si completa il processo di privatizzazione dell’acqua rimarrà l’amara sensazione che ci si possa far privare di tutto, anche di quei diritti universali che sembravano inalienabili fino a poco tempo fa.

Utilizziamo l’unico strumento di democrazia diretta che la Costituzione ci consente di esercitare.
In qualunque maniera voi la pensiate…pensate e votate!!!



p.s. per la realizzazione di questo post ho acquisito informazioni, tra gli altri, da questi siti: camminando scalzi - disinformazione.it

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